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OLTRE RANGOON
(BEYOND RANGOON)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 20 maggio 1995
 
di John Boorman, con Patricia Arquette, U Aung Ko, Frances McDormand (Gran Bretagna - Stati Uniti, 1995)
 
La protagonista Patricia Arquette

Pochi registi sono stati giudicati in modo altrettanto controverso dell'inglese John Boorman. E l'ultimo suo film, con il quale per la prima volta egli si riferisce all'attualità politica, sociale e morale più recente, forse più di ogni altro ha diviso i giudizi.

È la natura stessa del cinema di Boorman alla base di questo fatto. In nessun altro cinema al mondo si fondono infatti due elementi apparentemente così contraddittori, e quindi sconcertanti per lo spettatore, affascinanti, ma pure difficili da governare: la fisicità, la riproduzione della realtà più naturale. E la spiritualità, la ricerca di un significato metafisico all'interno di questa fisicità. OLTRE RANGOON non sfugge a questa regola, situandosi a metà strada tra due film come DELIVERANCE ed EXCALIBUR.

Da un lato, s'iscrive profondamente nelle realtà: Boorman è andato a girare nella giungla della Birmania, per parlarci della resistenza ad uno dei regimi politici più dispotici in circolazione. Impresa, come negarlo, perfettamente concreta, e che gli avvenimenti successivi all'uscita del film (la liberazione - dopo sei anni di residenza forzata - di Aung San Suu Kyi, la mitica mitica dirigente del movimento democratico birmano) sembrano illuminare di una luce ancora più significativa.

Dall'altro, poiché questa iniziativa non è soltanto il pretesto ad un film d'azione e di avventura (UN ANNO VISSUTO PERICOLOSAMENTE, di Peter Weir, ad esempio) che descriva una guerra civile vista dall'interno di in paese: ma illustra la vicende di una giovane americana (Patricia Arquette) che, persi figlio e marito in circostante tragiche, parte in un luogo popolato da monaci e soldati, per tentare di dimenticare. E corrisponde quindi perfettamente al secondo aspetto - quello più originale- della poetica di Boorman: la descrizione di un viaggio iniziatico, del cammino di un individuo che deve ritrovare sé stesso e le proprie ragioni di vivere. Al quale si aggiunge un'altra caratteristica: l'incontro fra due culture, la scoperta del meraviglioso, di un mondo nel quale l'intimità con la natura permette di giungere alla conoscenza.

Bastano le prime immagini del film - le rive del fiume che scorrono lente e maestose, i rumori della natura che invadono progressivamente lo schermo - per immergere immediatamente lo spettatore nell'inequivocabile atmosfera boormaniana: l'acqua, lo scorrere inarrestabile, amniotico dell'elemento liquido, che ci conduce per mano verso quell'armonia con il paesaggio, quella connivenza con la natura che sola può permettere la sopravvivenza. A questa armonia si opporranno ben presto le sequenze d'azione: una violenza descritta con efficacia formidabile, ma mai banalità spettacolare. Piuttosto come una dinamica che si contrappone alla serenità dell'incontro con l'ordine naturale: e che sfocia nella descrizione di un avvicinamento fra due donne diverse, che nulla destinava a far coincidere e che si ritrovano a lottare contro la repressione.

Certo, si può non marciare: di OLTRE RANGOON non rimarrà allora che il semplicismo, l'ingenuità che a taluni sembrerà infantile, la schematizzazione di un processo espressivo che non può non comportare quei rischi ai quali abbiamo accennato. Ma in un mondo governato dal calcolo delle formule e del videogame ben venga l'utopia di Boorman.


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